Nel 1926, l’Opera della Propagazione della Fede, su suggerimento del Circolo missionario del Seminario di Sassari, propose a papa Pio XI di indire una giornata annuale in favore dell’attività missionaria della Chiesa universale. La richiesta venne accolta con favore e lo stesso anno fu celebrata la prima “Giornata Missionaria Mondiale per la propagazione della fede”, stabilendo che ciò avvenisse ogni penultima domenica di ottobre, tradizionalmente riconosciuto come mese missionario per eccellenza. Questo uno dei tanti “elementi di vanto” nella riflessione e animazione missionaria nella storia decennale pastorale della diocesi turritana, insieme all’invio di numerosi sacerdoti, religiosi e religiose della diocesi in missione.
Tra i tanti, nel 1973 partirono per il Cile due giovani sacerdoti diocesani come missionari “fidei donum”, don Giuseppe Murineddu e don Salvatore Ruzzu, inviati dall’allora arcivescovo di Sassari mons. Paolo Carta. Sin dai primi anni del suo insediamento in diocesi, mons. Paolo Atzei, continuamente insisteva sull’urgenza pastorale di inviare dei sacerdoti diocesani in servizio “fidei donum”ad un’altra Chiesa sorella, per risvegliare la già presente coscienza missionaria e vivere in pieno nella concretezza la vocazione missionaria ecclesiale.
Nel 2011 altri due giovani sacerdoti diocesani con appena tre anni di sacerdozio “alle spalle” diedero la loro disponibilità alla Chiesa Turritana per un eventuale servizio in terra di missione su mandato e per conto della stessa chiesa diocesana di Sassari: don Emanuele Piredda e don Francesco Meloni.
Nel luglio del 2012, dopo mesi di colloqui col vescovo mons. Paolo Atzei e prime comunicazioni con la diocesi di Ihosy in Madagascar, i due sacerdoti per cinque settimane visitarono la diocesi di Ihosy, accolti dal vescovo mons. Fulgence Razakarivony e dai confratelli malgasci.
Nel settembre dello stesso anno, frequentarono a Verona, al “Centro Unitario Missionario”, un corso di cinque settimane per missionari partenti. Iniziò così nell’ottobre del 2012 sino all’ottobre del 2013 un anno intenso di animazione missionaria diocesana, consistita in: colloqui con tutti i sacerdoti diocesani e religiosi nella diocesi di Sassari, visita e animazione nelle singole comunità parrocchiali, colloqui settimanali col vescovo, preparazione spirituale e culturale personale.
Nel luglio del 2013, parteciparono al corso di lingua francese a Parigi, all’“Alleance française”. Nell’ottobre del 2013, la preparazione immediata alla partenza consistette in una “tre-giorni diocesana”. Il 13 ottobre 2013, nella Cattedrale di Sassari è stato celebrato l’invio missionario alla presenza di una folta rappresentanza di confratelli sacerdoti e numerosi cristiani. Il giovedì precedente, il 10 ottobre, il ritiro mensile del clero è stato arricchito dalla presenza e dalla conferenza di don Alberto Brignoli direttore dell’ “Ufficio nazionale di Cooperazione missionaria” della CEI. Il giovedì pomeriggio si è svolto un convegno diocesano missionario per i laici. Il venerdì sera è stato il momento dedicato ai giovani nel teatro Smeraldo di Sassari, dove sì assistette a uno spettacolo teatrale completamente scritto e realizzato dai giovani provenienti da varie realtà diocesane, che hanno aiutato il folto pubblico a riflettere sul carattere universale missionario a cui ciascuno di noi è chiamato. Il sabato è stata la volta dei bambini e ragazzi missionari che si sono incontrati negli spazi messi a disposizione della Parrocchia di Santa Maria bambina a Sassari per una serata di gioco, riflessione e preghiera.
Il 15 ottobre, accompagnati dal Vescovo Paolo, dal direttore del Centro Missioni diocesano Mons. Tonino Canu e da Mons. Dino Pittalis, i due sacerdoti partenti hanno preso il volo da Alghero per Roma, dove il martedì 16 ottobre mattina, durante l’udienza papale del martedì in piazza San Pietro, hanno avuto l’onore di salutare personalmente il santo padre Francesco e ricevere da lui la benedizione. Da lì a poche ore, nel pomeriggio dello stesso giorno, hanno preso il volo verso Antananarivo in Madagascar con scalo in Francia.
Cosa abbiamo trovato
Il Madagascar è tra i Paesi più poveri al mondo e la povertà è endemica, con diffuse situazioni di malnutrizione e un servizio medico di base inadeguato. I diritti dei minori sono disattesi, gli anziani e persone con difficoltà motoria e mentale abbandonati, le donne continuano a essere discriminate nella legge e nella prassi.
Le istituzioni spesso non sono garanti dei diritti umani, che sono violati dai dirigenti pubblici e dalle stesse forze dell’ordine, favorendo così la corruzione. Oltretutto nel sud del Paese la scarsa presenza dello Stato e il suo mal funzionamento crea un vuoto istituzionale coperto da grandi bande di briganti che costringono la gente ad un clima di terrore e paura. Gli alti tassi di povertà estrema hanno condizionato la vita della maggioranza della popolazione, con una percentuale stimata del 91 per cento di malgasci costretti a vivere con meno di 1,5 euro al giorno. Secondo le agenzie delle Nazioni Unite, 1,2 milioni di persone nel sud del Paese (circa l’80 per cento della popolazione) versavano in condizioni di insicurezza alimentare e, di queste, 600.000 in una situazione d’insufficienza alimentare grave.
Possiamo inoltre affermare che nel mondo la mancanza di istruzione miete più vittime della fame!
Si parla tanto di come aiutare chi muore di fame, di come inviare cibo in Africa… ma forse non si riflette mai abbastanza sul grande problema della mancanza di scuole, e quindi di educazione.
Secondo noi due sono le cause della fame nel mondo:
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la mancanza di istruzione di tanta povera gente che non sa come sfruttare le proprie potenzialità;
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l’ignoranza di tanti nostri governanti che non sanno cosa significhi collaborare per il bene comune.
Il Madagascar presenta una situazione veramente critica dal punto di vista dell’istruzione elementare, per non parlare dell’istruzione nei gradi “superiori o universitari”.
A Ihosy, di circa 321 mila abitanti, neanche il 10 per cento ha frequentato le scuole elementari. Questo vuol dire che la maggior parte della popolazione non sa né leggere né scrivere. E le poche scuole che ci sono hanno grossi problemi a rimanere aperte.
Il punto di vista
Il popolo Bara è profondamente radicato nella tradizione degli antenati,“ny razana”. La cura, la tutela e la trasmissione della memoria dei “razana”è per loro una vocazione. Si sentono chiamati a custodire tutto ciò che hanno ereditato: la terra; le relazioni; gli usi e costumi; il cibo e il modo di prepararlo; ecc... Il valore della “custodia” è uno strumento fondamentale per salvaguardare la dignità, ma in un contesto di emergenza umana e problematiche sociali serie, questo strumento diventa un rifugio da un ambiente ostile e violento.
Gli usi e costumi sono messi al di sopra dello stesso uomo, causando non solo un freno allo sviluppo, ma un deterioramento del tessuto sociale. Nell’insieme dei poveri, che di per sé in riferimento alla nostra società sono già al confine dell’esistenza, ci sono delle persone che stanno nel bordo estremo: gli ultimi degli ultimi. La miseria, nella persona causa delle ferite interiori; nella famiglia, delle separazioni e di conseguenza nella comunità divisioni fra i suoi membri. La lotta per sopravvivere, oltre che l’indifferenza, l’egoismo e la sete di potere, è la causa di una condizione di vita estrema, che non si può ridurre ad un mero problema morale, ma esistenziale.
Non possiamo impiantare modelli sociali e democratici che vogliono rivoluzionare le sorti del Paese, senza prendere prima in considerazione le basi su cui dette soluzioni dovranno appoggiarsi.
Sono molte le strutture sociali, scolastiche e sanitarie esistenti che realizzano servizi per tutte quelle persone che per malattia, problemi familiari o anche per sola ignoranza vivono ai margini della società. Sono opere lodevoli, ma in molti casi pur alleviando le sofferenze o il degrado causato dall’isolamento, non sono in grado di risollevare le sorti di quelle persone che rimangono nei confini, ai margini delle relazioni sociali e della dignità umana. Un buon servizio socio-sanitario non può essere solo un atto di pietà, ma di responsabilità.
Per la mancanza di mezzi adeguati, inoltre, i bambini e i ragazzi devono andare per giorni e giorni lontano dai propri villaggi, al pascolo con i buoi che servono per lavorare la terra nei campi. Tutta la famiglia è chiamata a partecipare al lavoro nelle risaie, anche perché il riso, per la stragrande maggioranza della popolazione è l’unico pasto accessibile nonché merce di scambio.
La buona riuscita della raccolta sarà dunque importante per il loro sostentamento e per sopravvivere alla fame. Senza dimenticarci che molte ragazzine diventano mamme troppo presto, a 13 anni, e quindi devono occuparsi della loro nuova famiglia dividendosi tra il lavoro a casa e nei campi. Questo è uno degli aspetti che influisce negativamente nella frequentazione scolastica da parte dei ragazzi e nella promozione da parte dei genitori.
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E’ sufficiente mettere in atto dei progetti produttivi che creino ricchezza?
Pensiamo di no, perché in fondo facendo cosi, si alimenta solo quel sistema che in qualche modo non permette lo sviluppo socio-economico.
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E’ sufficiente una campagna di prevenzione fatta di manifesti, di distribuzione di massa di presidi medici, ecc.?
Pensiamo di no, perché senza un accompagnamento adeguato gli strumenti perdono il loro valore, ad esempio: la zanzariera distribuita massivamente come prevenzione alla malaria, diventa una rete da pesca, con tutti i rischi che questa rappresenta.
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E’sufficiente costruire edifici e strutture seguendo i canoni delle società occidentali?
Pensiamo di no perché come prima cosa assorbono la maggior parte dei fondi a disposizione e poi richiedono manutenzione che significa l’impiego di altri fondi. In secondo luogo, la loro architettura può diventare strumento di discriminazione ed emarginazione. Ad Esempio: posso avere a disposizione i fondi per costruire un buon ospedale dal punto di vista strutturale con tutto il necessario, ma poi per la sua gestione devo far pagare le cure mediche, di conseguenza, ho impiegato dei fondi per lo sviluppo sociale e contro la povertà, ma l’accesso agli stessi poveri è negato.
Quando si parla di educazione, istruzione, non si intende solo una trasmissione di competenze scolastiche , ma di formare le proprie coscienze, per trovare il senso della propria vita. L’istruzione utilizzata come strumento di inclusione per far scoprire la propria dignità, ci lega con il nostro passato e ci da speranza per il futuro. Andare a scuola, poter imparare e conoscere la propria storia, sono il segno della libertà dell’uomo e l’educazione ci dà gli strumenti per vivere questa libertà. Non dimentichiamoci che il bambino deve diventare uomo e avere gli strumenti per poter scegliere il proprio futuro..