“La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe”» (Mt 9,35-38). Queste parole ci sorprendono, perché tutti sappiamo che occorre prima arare, seminare e coltivare per poter poi, a tempo debito, mietere una messe abbondante. Gesù afferma invece che «la messe è abbondante». Ma chi ha lavorato perché il risultato fosse tale? La risposta è una sola: Dio. Evidentemente il campo di cui parla Gesù è l’umanità, siamo noi. […] Pertanto sorge dentro il nostro cuore prima lo stupore per una messe abbondante che Dio solo può elargire; poi la gratitudine per un amore che sempre ci previene; infine l’adorazione per l’opera da Lui compiuta, che richiede la nostra libera adesione ad agire con Lui e per Lui”.
Dal Messaggio di Papa Francesco per la 51ª giornata mondiale di preghiera per le vocazioni
Se i campi biondeggiano di messi è perché Lui ha preparato il terreno e gettato la semente, è Lui che pazientemente ha atteso facendo piovere la sua grazia per irrigare la terra e ha donato il calore del sole perché non mancasse l’abbraccio caldo dell’Amore.
Davanti alle meraviglie che mi circondano sono sorpreso come Mosè: “Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo”, per scoprire chi è l’artista che ha fatto tutto questo; “Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!”, è Dio che ha fatto tutto questo.
TESTIMONIAZA Veglia missionaria CEI NAZIONALE 2017
[…] Crescendo si è insinuato in me un tarlo difficile da estirpare, notando nel tempo che non solo io venivo intaccato da questo virus… nello specifico mi riferisco alla convinzione che la missione ad gentes è solo per eroi, è un’esperienza che possono fare uomini o donne coraggiosi, bravi in tutto, etc etc… quasi come le missioni speciali a cui sono chiamati i protagonisti dei film d’azione. […]
Soltanto la Provvidenza mi ha aiutato negli anni a leggere in maniera diversa le affascinanti condivisioni di tanti uomini e donne in rientro dall’esperienza missionaria.
Fu però il mio “anziano” parroco, che non ha mai condiviso la mia disponibilità al servizio “fidei donum”, che tra i tanti confronti-scontri mi regalò una chiave di lettura alternativa. “Il prete - mi disse - deve essere capace di stupore e contemplazione, non è chiamato a fare, ma scrutare i passi del buon Dio nella storia dell’umanità. – Continuò - non siamo noi a portare Dio, ma Lui ci porta e ci sfida a trovarlo in ogni persona, situazione, rigidità e assurdità della storia. Non serve andare in missione, perché Dio è già li, non sarai tu a portarlo”. […]
Eccomi allora qui, al Sud di questa fantastica terra rossa, il Madagascar, accolto da un popolo tanto fantastico quanto mai pieno di contraddizioni, così come l’intera umanità. Qui per stare e contemplare il Cristo che si rivela. Ecco allora l’esperienza dello “stare” e dello spogliarsi del troppo che spesso anche il missionario porta con se tra valigioni, pacchi da spedire e container da far sdoganare. Lo stesso Cristo quando invia in missione dice: “Non portate con voi…”. Dobbiamo spogliarci del nostro modo di vedere la realtà, di concepire, di fare sintesi, per accogliere un’altra cultura, un altro modo di ragionare e dedurre… e per fare questo bisogna ritornare alla scuola del Vangelo, il Vangelo dell’incarnazione, il Vangelo degli schemi stravolti da Colui che “ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili”, il Vangelo che mette i bambini al centro, il Vangelo della “stolta” e “scandalosa” Croce. […] Ma noi siamo stati inviati in terra malgascia per vivere in mezzo a loro e contemplare Cristo che continuamente si rivela, che continuamente ‘avviene’. E per far questo allora è necessario aver l’umiltà e la pazienza di ritornare bambini, desiderosi di imparare, di stare in silenzio perché l’altro è ed ha qualcosa di importante da dirmi. Sulle strade di questo mondo sono chiamato a fare come quegli anziani del mia cittadina che nelle nostre piazze in Sardegna stanno seduti sulle panchine e osservano, scrutano tutto ciò che accade davanti ai loro occhi, senza lasciarsi sfuggire niente, senza stancarsi e con costanza. Ecco qua allora il suggerimento-sfida del mio parroco, il missionario è chiamato innanzitutto a stare e contemplare Dio che è già presente. Dio infatti ha già seminato, ha già lavorato anche in questa porzione di popolo al sud del Madagascar, anche se nella capanna io non trovo l’immaginetta ricordo della benedizione pasquale, anche se apparentemente i loro riti e usanze non hanno niente di cristiano. Dio ha già seminato, la messe è già abbondante, a me il compito di aiutare il padrone della messe a far si che il raccolto non vada perduto. A me la responsabilità di riconoscere i frutti del lavoro che il buon Dio ha già operato e aiutarlo nella raccolta. A me, figlio della Chiesa universale, a me l’incarico di far si che il lavoro del buon Dio “non vada a male”. E allora si che i miei occhi saranno colmi di meraviglia e stupore, per le grandezze che opera il Signore. Soltanto se il mio servizio missionario si fonda sulla scelta dello stare e contemplare Dio che “avviene”, Dio che già ha operato ancor prima del mio arrivo, solo allora potrò con cuore puro accettare ciò che lo stesso Signore ha seminato. E solo se sarò capace di lavorare nel terreno già permeato dalla presenza del buon Dio, allora potrò anche assumermi le mie responsabilità, perché proprio questo mi chiede la Chiesa. […]
Ecco la mia esperienza di missione, limitata, ma personalmente edificante perché qui il Signore mi chiama a lasciarmi abbracciare da Lui, a scoprirlo ogni giorno presente, e a gustare del frutto del raccolto della Sua messe, dove io da semplice operaio cerco di mettere tutto me stesso per riconoscerlo ogni giorno presente e liberante.
Don Francesco Meloni
“fidei donum” in Madagascar
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